venerdì 6 giugno 2008

Convegno sulla sicurezza dei lavoratori immigrati


Lavoro, trabajo, muncă, punё, travail, arbeit... tanti modi di dirlo, un solo modo di guadagnarsi la vita che accomuna italiani ed immigrati in un numero crescente di posti di lavoro.

Nel dramma quotidiano degli incidenti in fabbriche, cantieri e laboratori, i lavoratori immigrati costituiscono ormai una parte rilevante delle vittime e degli infortunati.
Secondo dati Inail, a Torino e provincia gli infortuni sul lavoro hanno riguardato, nel 2007, circa 37.200 italiani (40% circa le donne) e 4.556 stranieri (25% donne), dei quali 1.236 marocchini e 905 romeni. Un rapporto di 1 a 4 fra infortunati immigrati e italiani, mentre parlando di popolazione residente, gli stranieri sono sì e no un decimo del totale. Inoltre, sempre secondo l'Inail, "gli infortuni occorsi ai lavoratori extracomunitari sono tendenzialmente più gravi di quelli occorsi ai lavoratori italiani". Indice del fatto che sono spesso i lavoratori stranieri, più ricattabili e meno tutelati, a lavorare nelle condizioni più precarie e rischiose. Nel settore dell'edilizia ed impiantistica si registra il 26,3% del totale degli infortuni che coinvolgono lavoratori stranieri, con un altro 29,4% nell'industria metallurgica e metalmeccanica
Proprio a partire da questi temi si è svolto, presso l'Arsenale della Pace del Ser.Mi.G. di Borgo Dora, il convegno "I colori delle morti bianche. Extracomunitari, tutela e sicurezza sul lavoro". Organizzata dall'Inail e dal Consolato albanese in Piemonte, l'iniziativa ha visto la partecipazione di sindacalisti, politici, responsabili di enti pubblici, esponenti del volontariato e consoli onorari di diversi Paesi, oltre che dell'assessore per le politiche di integrazione Ilda Curti. Presente anche un rappresentante del governo albanese, il viceministro all'integrazione Zef Bushati. E' intervenuto a nome del Consiglio comunale torinese il consigliere Enzo Lavolta (audio), sottolineando l'impegno dell'assemblea elettiva di Palazzo Civico - che ha proclamato il 2008 quale "Anno per la sicurezza nei luoghi di lavoro" - nel contribuire a tenere viva l'attenzione pubblica sul dramma sociale delle "morti bianche" e degli infortuni.

Nelle foto: Un momento del convegno svoltosi all'Arsenale della Pace.

fonte Cittagorà



mercoledì 4 giugno 2008

BLOCCHI LOCALI

di Massimo Bordignon 02.06.2008

Si torna a parlare di un nuovo blocco dei tributi locali. Che dovrebbe preludere al vero federalismo fiscale. Come nel 2002. Questa volta con l'aggravante dell'eliminazione dell'Ici sulla prima casa, l'unico tributo proprio che i comuni abbiano mai avuto. Il governo vuole così frenare la spesa locale. Un'intenzione comprensibile. Ma nel 2003-2006 non è andata così. E potrebbe peggiorare il rating di Regioni e comuni, mettendo in crisi quelli più indebitati.

Nel 2002, il ministro del Tesoro di allora, l'onorevole Giulio Tremonti decise di bloccare, a partire dall'anno successivo, l'autonomia dei governi locali su Irap e addizionali Irpef (ma non l'Ici).
Il blocco è rimasto fino al 2007, quando il governo di centrosinistra, nell'ambito di una revisione dei patti di stabilità interna, prese la decisione opposta, addirittura ampliando gli spazi di manovra dei comuni sull'imposta sulle persone fisiche.
Nel 2002, la decisione del ministro Tremonti sollevò non poche perplessità anche all'interno della sua maggioranza di governo. Si disse allora che il blocco preparava la strada all'introduzione di un "vero" federalismo fiscale e a riprova si introdusse un'Alta commissione sul federalismo fiscale, che nel giro di tre mesi avrebbe dovuto predisporre una proposta di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, articolo che appunto si occupa dei sistemi di finanziamento e di perequazione dei governi locali potenziati dalla riforma costituzionale del 2001. Nei fatti, l'Alta commissione ebbe vita stentata e presentò la sua proposta solo sul finire del 2005 e motu proprio, senza cioè l'avallo politico del ministro del Tesoro di allora, di nuovo l'onorevole Giulio Tremonti.

LA STORIA SI RIPETE

Nel 2008, la storia sembra ripetersi e con gli stessi protagonisti di allora. Secondo quanto previsto dal comma 7, art.1. del decreto legge del 27 maggio scorso , il governo di centrodestra si preparerebbe di nuovo a bloccare del tutto i tributi locali, con l'aggravante che questa volta si interviene in modo definitivo, eliminandola, anche sull'Ici prima casa, l'unico "vero" tributo locale che i comuni abbiano mai avuto. E di nuovo, si afferma che l'intervento, lungi dall'essere penalizzante per i governi territoriali, prepara soltanto l'introduzione del "vero" federalismo fiscale. Se la storia è maestra, qualche dubbio è inevitabile.
L'intenzione del governo, bloccare i tributi per bloccare la crescita della spesa locale, è comprensibile. Ma si dimenticano alcuni fatti. Primo, la dinamica della spesa degli enti locali, Regioni comprese, nel periodo 2003-2006 non si è affatto ridotta. Piuttosto, è aumentato il debito, soprattutto in quelle forme, come i derivati, che consentivano agli enti locali di far cassa nell'immediato spostando l'onere del pagamento su governi futuri. Secondo, l'autonomia tributaria è parte integrante del federalismo fiscale. Piaccia o non piaccia, l'essenza del federalismo sta nel fatto che Regioni e comuni scelgano liberamente le proprie aliquote e i cittadini li giudichino su quello che fanno con i loro soldi. Un sistema di finanziamento basato solo su trasferimenti e compartecipazioni (cioè, sui soldi degli altri) è il peggio che si possa avere in termini di incentivi alla responsabilità fiscale degli enti locali. Terzo, la decisione rischia di aggravare la situazione finanziaria di molti enti locali. Le agenzie di rating, nel valutare la solvibilità di un ente locale, tengono conto della sua abilità di sollevare risorse addizionali con tributi propri, se necessario. Eliminare tale possibilità, riduce il rating e per questa via aumenta il costo del debito e mette in crisi i governi più indebitati. Quarto, ogni procedura di blocco è necessariamente iniqua, perché introduce un'asimmetria tra i governi che avevano agito sui tributi prima del blocco e quelli che si preparavano a farlo successivamente e che ora non possono più farlo.